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La tempestività nel trattamento della frattura del collo del femore, tramite intervento chirurgico, risulta cruciale nel paziente anziano poiché riduce il rischio di mortalità e di disabilità. In particolare PNE analizza la capacità delle strutture sanitarie di intervenire chirurgicamente entro 2 giorni per i pazienti di età superiore ai 65 anni. In questi anni i dati del Programma nazionale esiti sono stati sempre più incoraggianti, dimostrando che è possibile ottenere buoni risultati anche in diversi contesti geografici. Dal 2010 al 2014 la proporzione di fratture di femore sopra i 65 anni operate entro due giorni è passata dal 31% al 50%: nel 2014 una persona su due è stata operata entro due giorni rispetto a una su tre nel 2010. In particolare 52.000 sono i pazienti che hanno beneficiato dell’intervento tempestivo, di cui 21.700 solo nell’ultimo anno (nel 2014). Oltre ai benefici in termini di salute, si associa a questo risultato positivo un vantaggio in termini di risorse: 470.000 giornate di degenza risparmiate, di cui 180.000 sempre nel 2014.
Confrontando i dati del 2014 con quelli del 2013, si osserva inoltre un miglioramento in quasi tutte le Regioni, con aumenti significativi in FVG e in Emilia Romagna, che già partivano da valori alti, e in Piemonte, Liguria, Lazio, Sardegna e Puglia, che invece presentavano valori più bassi.
Si osserva una grande variabilità, non tanto tra le regioni, ma piuttosto all’interno delle stesse: una stessa regione può presentare valori che oscillano da un minimo dello 0,8%, a un massimo del 93% di interventi chirurgici per frattura del collo del femore entro 2 giorni.
Rimangono, invece, ancora molte criticità per quanto riguarda il ricorso ai parti cesarei primari, che pur diminuendo, presenta ancora livelli molto alti in alcune regioni, in particolare in Campania.
Il parto cesareo rispetto a quello vaginale comporta maggiori rischi per la donna e per il bambino e dovrebbe essere effettuato solo in caso di indicazioni specifiche. Fin dal 1985, l’OMS afferma che una porzione di cesarei superiore al 15% non è giustificata. Lo stesso Regolamento per la definizione degli standard (Decreto ministeriale n. 70, 2 aprile 2015) fissa al 25% la quota massima di cesarei primari per le maternità con più di 1000 parti e 15% per le maternità con meno di 1000 parti.
Per questo secondo indicatore, i dati di PNE rilevano che in 4 anni la proporzione di parti cesarei è scesa progressivamente: dal 28,3% del 2010 al 25,7% del 2014. Si osserva però anche in questo caso una notevole variabilità intra e interregionale, con valori per struttura che variano da un minimo del 5% a un massimo del 95%.
Purtroppo ancora nel 2014 rimangono evidenti differenze tra le regioni del nord e le regioni del sud con valori medi rispettivamente inferiori e superiori al 20%, e che, nel caso della Campania, sono stabili al 50%.
 

 

 

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Sanità nelle Regioni 

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